“Una delle esperienze più bella della mia vita!”
È stato un pensiero di molti. Qualcuno si pizzicava la pelle per capire se fosse reale. Io ero una di queste. Non mi sarei mai aspettata di riuscire ad avere la forza di inseguire i miei sogni nonostante le persone mi dicessero: “Non ti rendi conto, è un lavoro pericoloso!”
Dispositivi di protezione, camice bianco, badge universitario, luci radenti, polveri per rilevamento impronte. Potrei stare qui ad elencare materiale all’infinito.
In cinque giorni abbiamo sperimentato che cosa significa lavorare sul campo. Che cosa significa tornare in hotel completamente distrutta, ma del tutto soddisfatta del lavoro svolto.
Due simulazioni di scene del crimine: omicidio- suicidio e rapimento di madre e figlio e omicidio di quest’ultimo.
Credevo fosse difficile lavorare con persone mai viste, seppur questi casi erano solo una simulazione. Invece è stata un’esperienza inaspettata. Eravamo lì per lo stesso obiettivo e abbiamo dato il meglio di noi proprio durante le ipotesi finali. Molti di noi hanno confermato che il percorso scelto è quello giusto, altri si sono accorti che forse la criminalistica è la loro strada.
Un primo giorno di lezione frontale per capire i concetti di base, per comprendere la planimetria, la fotografia su una scena del crimine. Un lavoro immane da fare ed estremamente meticoloso. Serve una precisione tale che non mi si addice, questo non mi ha demoralizzata, ma dato la forza per mettermi alla prova. Mi sono fatta aiutare dai miei colleghi.
E poi ecco che inizia il laboratorio vero e proprio: le due scene simulate. Una scena interna con in prestito due morti vivi. Martina e Gabriele si sono prestati per fare i due cadaveri. Sono stati impressionanti, immobili per ore per permettere a noi di lavorare, di indagare. La scena esterna in parcheggio con la corsa verso tempo perché il meteo prometteva pioggia. E ci siamo resi conto come un po’ d’acqua possa rovinare tante prove.
In aula poi ci siamo confrontati. Ci siamo divisi in gruppi: chi manager, chi comanager, chi addetto alla fotografia, chi alla planimetria e chi al repertamento. Ognuno ha eseguito egregiamente il proprio lavoro andando infine ad aiutare per la stesura del report finale.
La parte migliore? Beh, le ipotesi finali sul presunto colpevole! Ci siamo sbizzarrite proponendo ipotesi, andandole poi a smentire. Ci era stato detto che la soluzione sarebbe stata la più banale, ma non convinte ci siamo cimentati in esperti di balistica e non solo.
È stato davvero uno dei laboratori più intensi, logoranti e stancanti che abbia mai fatto, ma la soddisfazione è indescrivibile. Perché toccare con mano, anche se in modo molto semplificato, mi ha dato la consapevolezza reale di quello che effettivamente sarà il mio e il nostro lavoro.
Non mi ha spaventato, non mi sento intimorita perché ho ricevuto quella conferma che da tempo chiedevo a me stessa: è la scelta giusta? È questo che voglio fare?